Giambattista Tiepolo
S. Silvestro battezza Costantino
Olio su tela, cm 324 x 172
Chiesa di S. Silvestro, altar Maggiore Folzano - Brescia.
1757-1759
Francesco Lorenzi
Immacolata Concezione
Olio su tela, cm 335 x 174
Chiesa di S. Silvestro, altare laterale
Folzano - Brescia.
|
Giambattista Tiepolo
S. Silvestro battezza Costantino
Nelle Memorie della chiesa di Folzano stese da Bartolomeo Facci, cittadino di Brescia e ricco possidente in Folzano, alla data 1° agosto 1757, si legge che «addi 8 di marzo» lo stuccatore Felice Pasquelli aveva iniziato alcune opere quali il cornicione e i capitelli e che «si è pure posta in opera la Sovaza di Marmi esistente in Coro, e prima che finisca l'Anno seguirà lo stesso della Mensa, o sia Altar Maggiore pure di Marmi, essendo sotto al scalpello, et in attualità di lavoriero, e si spera pure nel prossimo decembre di poter nichiare nella sovaza del Altar Maggiore la Palla efiggiante S. Silvestro Papa, che batizza l'Imperator Costantino, della quale si ha acordato il contratto per il prezzo de’ Zecchini cento col S.r Gio. Batta. Tiepolo Pittore in Venezia de' più erudita, e cellebre che vivono nella presente Età, quale ha assonto particolare impegno d'impiegare ogni studio et atenzione nella facitura della Palla medema».
Lo stesso al 30 settembre 1759 annota: «Nel sopra citato giorno 30 Settembre fu pure esposta anche la nova Pala dell'Aitar Maggiore, in cui è figurato S. Silvestro Papa in atto di Batezzar l'Imperator Costantino, qual opera fu fatta in Venezia dal S. Gio. Batta Tiepolo cellebre Pittore, essendoli stato contribuito il prezzo de' Zecchini cento effettivo».
Dunque il dipinto, commesso al Tiepolo in epoca antecedente all'agosto 1757, risulta essere stato esposto poco più di due anni dopo: erroneamente la data dell'8 marzo è stata assunta come quella del contratto con il Tiepolo e come tale è riportata ad esempio dalla Pallucchini.
Il dipinto è stato inspiegabilmente condannato ad una lunga congiura del silenzio da parte di tutte le guide bresciane: fino alla sua riscoperta e pubblicazione da parte del Molmenti, il quale individuò anche il manoscritto del Facci (1909), era noto solo attraverso l'incisione che ne aveva dato il figlio Giandomenico (in 4 stati). Pubblicando questa incisione nel 1910, il Sack dà la pala fra le opere perdute. Esiste anche, sempre inciso da Giandomenico, il particolare del busto del papa Silvestro con la brocca (in 2 stati). Il Rizzi segnala anche i disegni relativi della Collezione Cramer dell’Aia e del Museo Correr di Venezia. All'atto della sua pubblicazione il Molmenti così si esprime: «la tela, brillante per letizia di tinte, è ancora intatta e fresca, come fosse uscita or ora dalle mani dell'artefice».
Nel gennaio del 1918, nel quadro dei provvedimenti per la salvaguardia delle opere d'arte dagli eventi bellici, il dipinto, rullato, venne trasferito a Roma per ritornare a Brescia nel 1920 ed essere esposto in Pinacoteca. Da qui la polemica da parte dei parrocchiani per la sua restituzione alla chiesa, alla quale l’allora Soprintendente Ettore Modigliani si opponeva in ragione del suo stato di conservazione sostenendo che, prima della ricollocazione, il dipinto avrebbe dovuto essere restaurato mediante foderatura e fissaggio del colore che minacciava di staccarsi.
Interprete del desiderio della popolazione, ma forse anche di una velata polemica tra stato e chiesa, il Guerrini in due articoli avanzava l'accusa che i Musei di Brera e di Brescia tendessero ad impadronirsi dell'opera ora che essa era uscita dal silenzio di secoli per merito del Molmenti.
Al giudizio entusiasta del Molmenti si aggiungono quelli del Nicodemi e della Nugent.
«Tanto è viva e bella la scena descritta con la meraviglia liquida del colore che riempie le linee grandiose e impeccabili del disegno, e tanto grande è la drammaticità del vecchio morente con la testa piegata a ricevere l'acqua lustrale, che il quadro, pure nell'opera inesauribile del Tiepolo, riesce a segnare un attimo singolarmente felice» (Nicodemi).
Quanto alla Nugent, la quale lo prende in esame alla "Mostra del Seicento e Settecento" tenuta a Firenze nel 1922, lo giudica «trionfale per la grandiosità della composizione, per la vivezza dei colori», dicendo che «questo quadro, eseguito dal Tiepolo nella sua piena maturità, ci affascina per l'impeto della fattura, tra tanto sfarzo di colori irruenti; tuttavia vi cercheremmo invano certe dolcezze di tonalità, le sfumature iridescenti del grande coloritore». A questi giudizi si contrappone quello più recente della Pallucchini, che avverte nel dipinto unicamente «l'abilità del Tiepolo nell'impostare la composizione», aggiungendo che «di fronte ad opere di questo tipo, le accuse di accademismo, di mestiere, sono perfettamente giustificate». Per quanto riguarda la datazione dell'opera, il Molmenti avanzò la possibilità che essa fosse stata licenziata dal Tiepolo nel marzo 1759 e portata personalmente a Brescia, basandosi sulla lettera che l'artista aveva scritto il 14 marzo di quest'anno ad Innocenzo Frugoni nella quale affermava di essere appena rientrato a Venezia da Brescia. Successivamente lo stesso Molmenti si basò su questo dipinto e sulla citata lettera al Frugoni per proporre la stessa data per le due tele di Verolanuova. Il Morassi lo giudica «A masterpiece almoss unknown, in very good preservation» [Un capolavoro ancora sconosciuto, in stato di conservazione molto buono], accettando la proposta del Molmenti circa la consegna nel marzo 1759 da parte dell'artista stesso. L'ottima conservazione dichiarata dal Morassi e dalla Pallucchini non corrispondeva purtroppo alla realtà e forse a causa della patina di sudiciume e di vernici alterate il giudizio di quest'ultima suona così limitativo. Il restauro recente, compiuto in occasione della mostra [Brescia Pittorica 1700-1760: l’immagine del sacro], rimuovendo il diaframma di sudiciume e vernici ossidate che offuscava le straordinarie tessiture cromatiche già intraviste dal Molmenti e dalla Nugent, le ha rivelate in tutto il loro splendore, consentendoci di apprezzare la pennellata del maestro che non è affatto di routine, leggera e liquida nelle parti in ombra o in secondo piano, ricca di materia e aggrumata in altre ad evidenziare opulenza di tessuti o colore di carni. Il tutto concorre alla creazione di una luminosità solare veramente degna della migliore maturità».
Bruno Passamani
Tratto da:
AAVV, Brescia pittorica 1700-1760: l'immagine del sacro, Grafo Edizioni, Brescia 1981, pp. 120-122
Restauri: Scalvini e Casella, Brescia, 1981. Il dipinto si presentava in condizioni estremamente preoccupanti per diffusi sollevamenti del colore dalla preparazione, nonché del colore e della preparazione dalla tela originale. Il precedente restauro degli anni del primo dopoguerra, nel tentativo di fissaggio e di foderatura, aveva provocato vari accavallamenti di scaglie pittoriche.
In più la pulitura sommaria, il ritocco pittorico grossolano e debordante su varie lacune e la verniciatura con vernici non elastiche, precocemente ingiallite, insieme con il sudiciume e la polvere, avevano determinato un diffuso offuscamento delle cromie originali.
L'intervento è consistito nel fissaggio a freddo di tutte le parti di colore incoerenti, previa velinatura, e nella sostituzione della tela originale di supporto. Dopo il fissaggio e la rigenerazione della preparazione originale, sono state applicate tre tele di cotone e canapa quindi si è proceduto alla rimozione della pellicola di sudiciume e delle vernici ingiallite nonché dei ritocchi, delle ridipinture e delle stuccature debordanti. Il dipinto è stato dotato di telaio nuovo, trattato con idrorepellenti e fornito di espansori meccanici. Stuccatura delle vecchie cadute di colore con mastice anti muffa e integrazione delle lacune individuabile. Verniciatura finale.
Bibliografia: Facci, 1757, 1.8.1757; Facci, 1759, 30.9.1759; Molmenti, 1909, p. 152; Sack, 1910, p. 230; Molmenti, 1910, p. 150; Nicodemi, 1920, p. 5; Guerrini, 1921, p. 2; Nicodemi, 1921, p. 204; Guerrini, 1922, p. 3; Mostra Sei e Settecento, 1922, p. 179 n. 978; Oietti-Dami-Tarchiani, 1924, p. 285; Nicodemi, 1924; Nugent, 1925, v. I, pp. 98-99; Calabi, 1935, pp. 111-112; Fé D'Ostiani, 1937, p. 253; Guerrini, 1937, p. 274; Morassi, 1962, p. 12; Fappani, 1964, pp. 19-21; Passamani, 1964, p. 641; A. Pallucchini, 1968, p. 84, scheda 244; Rizzi, 1971, pp. 294, 367.
Mostre: Brescia, 1920, s.n.; Firenze, 1922, n. 978; Brescia, 1935, n. 81.
Francesco Lorenzi
Immacolata Concezione
Nella chiesa parrocchiale di Folzano l’Immacolata di Francesco Lorenzi dopo il restauro del 2002 in occasione di una mostra in provincia di Vicenza, è stata ricollocata nel posto originale, sopra l’altare laterale di sinistra, di fronte all’altare dedicato alla Madonna del Rosario.
Stando alle conoscenze attuali, quello di Folzano risulta essere l’unico caso in cui le opere dei due pittori, il maestro e l’allievo, sono tuttora conservate nel luogo per il quale esse sono state commissionate: è verosimile, anche in relazione alla probabile datazione della pala di Lorenzi, che la richiesta a quest’ultimo abbia seguito quella al veneziano, come pure non si esclude che un primitivo progetto di commissionare a Tiepolo una seconda opera sia stato stornato, a favore dell’allievo veronese qui alle prese con una delle sue tele meglio costruite, per gli impegni del veneziano, tra il 1757 e il 1759 occupato nella realizzazione di importanti cicli decorativi (villa Valmarana ai Nani a Vicenza, palazzo Rezzonico a Venezia, oratorio della Purità a Udine).
Nonostante l’impiego delle consuete tipologie tiepolesche e forse per il timore di reggere il confronto, l'Immacolata Concezione del Lorenzi sembra voler prendere le distanze dal linguaggio scenografico e cromaticamente strepitoso del San Silvestro battezza Costantino sull’altar maggiore: grazie anche al formato allungato della tela, il pittore ricorre piuttosto ad un collaudato schema balestriano a zig-zag accentuandolo in alto con il giuoco serpentiforme della luce sulle nuvole; anche il colore, col giallo-oro della sopravveste della Madonna, il rosso-fragola della sua veste, il rosa che cangia in giallo nella stoffa che cinge l’angelo in alto, risulta particolarmente smaltato e rilisciato, senza spessore, e contrasta con i pirotecnici effetti cromatici e di pennellata usati invece da Tiepolo, assolutamente inarrivabile nei grumi dei bianchi sul manto di Costantino e nell’accostare il blu profondo della veste del paggio a sinistra (che secondo Gemin-Pedrocco, 1993, spetterebbe in quanto ad esecuzione a Gian Domenico) col rosso del piviale di san Silvestro.
Nel 1983 l’opera di Lorenzi, già ritenuta di scuola piazzettesca, entra nel catalogo del Lorenzi e viene datata verso la metà del settimo decennio.
Il dipinto di Tiepolo è stato restaurato dalla ditta Scalvini e Casella di Brescia nel 1981, al tempo della mostra Brescia pittorica 1700-1760: l’immagine del sacro (Passamani, 1981). Quello di Lorenzi invece, che si presentava in pessime condizioni, con depositi di sporco, cadute di colore e qualche buco, è stato restaurato da Romeo Seccamani nel 2002, in vista della sua esposizione a villa Vecelli-Cavriani: l’intervento, che ha comportato le consuete operazioni di foderatura, sostituzione del telaio, pulitura, risarcimento delle piccole lacerazioni, restauro pittorico e verniciatura finale, è stato diretto dalla dottoressa Rita Dugoni della Soprintendenza per i Beni Artistici, Storici e Demoetnoantropologici delle Provincie di Brescia, Cremona e Mantova. Come ha segnalato il restauratore, il pittore ha saputo ottenere certi effetti pastellosi grazie alla stesura sulla consueta preparazione rossa di una imprimitura color grigio chiaro, sulla quale è intervenuto con pennellate sottili e velature.
Tratto da
Francesco Lorenzi (1723-1787). Dipinti ed incisioni, catalogo della mostra a cura di E.M. Guzzo, Mozzecane (villa Vecelli Cavriani), 16 novembre 2002-19 gennaio 2003, Mozzecane 2002. |